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Valpolicella, un etimo che fa riflettere

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Valpolicella, un etimo che fa riflettere

Riposano oggi in Valpolicella i campi ammantati di rosso e violetto, mentre le foglie delle viti trascolorano e si fanno più brune, suggerendo il riposo dell’inverno che giunge; sonnecchiano anche i lavori di sbancamento dei primi pendii, la costruzione dei nuovi vigneti per produrre di più: la corsa all”oro rosso”non si ferma e la Valpolicella offre a tutti il miraggio di lauti guadagni, nel segno del massimo sfruttamento del suo pregiato territorio che ogni anno ci dona il suo vino straordinario. Secondo i ritrovamenti di alcuni scavi a Castelrotto, sembra che la vite qui si coltivi già dal V secolo a.C. e il vino rosso, prodotto dalla popolazione locale, fu quello preferito nei triclini di Augusto, che ne beveva ben 3,2 litri durante i simposi, e fu esaltato da Cassiodoro, ministro di Teodorico, con mirabili parole: “Mosto invernale, freddo sangue dell’uve, liquor sanguigno, porpora bevibile, violato nettare”(trad. di Scipione Maffei).

La Valpolicella fu una terra abitata dai fieri Arusnati, di origine retico-etrusca, che avevano divinità originali nel loro Pagus rispettato dai Romani. Oggi possiamo, se ne avessimo desiderio, ammirare le loro iscrizioni antiche nel Museo Lapidario Maffeiano, una delle perle di Verona, con le sue collezioni di epigrafi greche e latine che costituiscono la maggiore raccolta del Nord Europa e che è il primo museo al mondo in ordine cronologico, fondato come fu dal marchese Scipione Maffei nel 1738.

Risaliamo così alle radici più antiche della Valpolicella e alla sua etimologia che è una disciplina che deriva dal greco εtyμον che significa “vero” e λογια “studio”: proprio questa scienza fu amata particolarmente da Giambattista Vico e da Giacomo Leopardi che nello Zibaldone [1134] riferisce quanto l’etimologia riconduca ai primi principi delle parole e della lingua, fin quasi a raggiungere la storia primigenia della mente umana e delle nazioni.

“Val Polesela” è voce antica attestata nei codici già dal XII secolo e ci parla di canneti, boscaglia, terreni sabbiosi e ghiaiosi e ricchezza del suolo, terra di vigneti unici e rarissimi che producono quel vino dal colore rosso e quel profumo che sono unici proprio per le caratteristiche del luoghi che si condensano nell’etimo “Valle del Pol”, radice attestata anche nei toponimi Pol di Pescantina e Pol di Pastrengo o Polesine. “Luoghi boscosi, comunque ricchi di germogli e di vegetazione fiorente sulle sabbie e sui detriti abbandonati dai fiumi”, come recita la Treccani e come viene confermato dal professor Francesco Butturini nella sua monografia su San Pietro in Cariano ed. New Time, 1988, che cita le origini di questo “territorio di alta pianura costituita da un’unica formazione marina in cui affiorano calcari giallastri eocenici e marnosi miocenici del periodo Luteriano, con deboli alture, mentre le zone pianeggianti sono di origine alluvionale fluvio-glaciale del Pleistocene, periodo antico di Riss, o formate da quei depositi alluvionali sabbiosi e ghiaiosi, detti “poloni”, del periodo olocenico, che possono aver dato il nome a tutta la valle”.

È sorprendente dunque come, tra le varie fantasiose e popolari etimologie del nome Valpolicella, si sia imposta ultimamente, fino a dare il nome ad una manifestazione vinicola svoltasi l’ 8 Ottobre o a far bella mostra di sé nei siti di molte case vinicole veronesi, la dicitura “Val polis cellae” tradotta con “Valle dalle molte cantine”: per dire la verità la traduzione, per come si presenta l’etimo, suonerebbe “valle città della cantina o alla cantina o le cantine”, infatti il prefissoide greco per “molto” è “πολι” non “πολις” che vuol dire “città”; inoltre è impossibile trovare una parola antica con duplice radice greca e latina; infine una riflessione sul marketing controproducente, non solo per le famiglie storiche ma anche per tutte le cantine vinicole, che consiste nel celebrare la loro terra suggerendo la visita alle “molte” altre “cantine”, anziché esaltare il proprio territorio, quel “pol” che che rende unico al mondo il nostro vino, invidiatoci perfino dai francesi.

Ma Leopardi e la sua riflessione sull’etimologia ci possono aiutare a capire perché oggi non siamo più molto interessati alla verità delle parole e del linguaggio: non siamo infatti più molto interessati nemmeno a conoscere noi stessi e nemmeno la storia del nostro territorio. Tutto deve essere facilmente fruibile e, sicuramente, la moltiplicazione fantasiosa delle cantine o la giovane “pulcella” che accoglie, al centro della rotonda di Parona, chi si avvia alla scoperta delle cantine valpolicellesi, sono termini e referenti assai più semplici da comprendere, rispetto allo studio della geologia e dell’etimologia.

Con buona pace anche di Giambattista Vico.

Giulia Cortella

Verona, 8 Novembre 2017